“Steady State” made in USA: radici storiche e paralleli italiani

Negli Stati Uniti è emerso un gruppo chiamato “Steady State” (letteralmente “stato stabile”, ma più propriamente interpretabile come resistenza istituzionale): una rete composta da ex funzionari della comunità di intelligence e del Dipartimento di Stato, determinata a contrastare la riorganizzazione interna voluta dall’amministrazione Trump.
Il loro obiettivo reale non è semplicemente criticare alcune decisioni, ma impedire l’attuazione delle scelte strategiche del presidente e preservare la struttura di potere preesistente, in cui la componente militare-industriale e altri settori chiave dell’apparato statale mantengono la prevalenza non solo operativa, ma anche ideologica, esprimendo una visione politico-strategica trasversale: in alcuni casi allineata all’area Democratica, in altri convergente con l’ala neoconservatrice repubblicana, soprattutto per quanto riguarda la dottrina delle “guerre infinite” e la proiezione militare globale degli Stati Uniti.
Questa impostazione trasforma il gruppo in un attore politico-ideologico di fatto, che si muove all’interno delle istituzioni e sfrutta la propria rete di contatti, esperienza e accesso ai media per condizionare l’agenda nazionale, difendendo l’assetto di potere consolidato da decenni.
La scelta del nome non è casuale: serve a evitare l’associazione diretta con il “Deep State”, espressione ormai carica di connotazioni negative legate a manipolazioni occulte e sabotaggi burocratici, sostituendola con una narrazione di affidabilità e stabilità istituzionale, in definitiva un custode dello Stato capace di garantire equilibrio e prevedibilità in tempi incerti (cfr. Intelligence Online).
Un cambio di strategia: discrezione e autoprotezionePer meglio chiarire, nel numero del 17 febbraio 2025, Intelligence Online — firma Raphaël Ramos — descrive la svolta strategica del gruppo:
“Wary of the consequences of taking positions in the media, former US intelligence officials have adopted a more low-key strategy. Not just to carry more weight, but also to protect themselves from reprisals.”«Consapevoli delle conseguenze di prendere posizione nei media, ex funzionari dell’intelligence statunitense hanno adottato una strategia più discreta. Non solo per dare più peso alla loro azione, ma anche per proteggersi da eventuali ritorsioni».
Questa dichiarazione mostra come la scelta di operare lontano dai riflettori non sia un segno di debolezza, ma una mossa calcolata per preservare efficacia e sicurezza personale.
Dalla riservatezza alla visibilità coordinataE il17 giugno 2025 la stessa testata segnalava un cambio di passo:
“The Steady State, a group of intelligence veterans from the CIA and other agencies which opposes the Trump administration’s national security policy, is gaining momentum. The collective now intends to use its growing membership and resources to become more visible.”«Lo Steady State, un gruppo di veterani dell’intelligence provenienti dalla CIA e da altre agenzie che si oppone alla politica di sicurezza nazionale dell’amministrazione Trump, sta guadagnando slancio. Il collettivo ora intende usare la crescente base di membri e risorse per diventare più visibile».
Da qui in avanti, il gruppo punta non più solo a operare dietro le quinte, ma a intervenire apertamente nello spazio pubblico e mediatico.
Il senso del “rebranding”Questa operazione di immagine ha un obiettivo preciso: legittimare le azioni dello Steady State agli occhi dell’opinione pubblica, presentandolo non come un attore clandestino, ma come custode dello Stato e garante di equilibrio e prevedibilità in una fase di forte instabilità politica.
Le purghe di Trump: il contesto di nascitaLa nascita dello Steady State va compresa nel quadro delle massicce sostituzioni operate da Trump in agenzie chiave come FBI e Dipartimento di Stato, spesso rimpiazzando figure esperte con fedelissimi politicamente leali ma inesperti. Secondo il Washington Post, queste mosse hanno disarticolato reti di competenza consolidate, spingendo molti ex funzionari a dimettersi o riorganizzarsi in forme di opposizione strutturata.
I cambiamenti voluti da Trump hanno avuto anche altre conseguenze, tra cui:
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Politicizzazione dell’intelligence sotto TrumpForeign Affairs evidenzia come, nonostante le dichiarazioni pubbliche sull’intento di depoliticizzare l’intelligence, l’amministrazione Trump abbia effettivamente politicizzato l’apparato, minando l’imparzialità professionale. )
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Il veleno del “Deep State” e l’amministrazione effettivaUn’analisi di Government Executive mostra il paradosso della retorica anti–”Deep State” di Trump, che avrebbe però risentito dell’assenza di figure esperte, facendo emergere i rischi dell’azzeramento del capitale tecnico all’interno delle agenzie. (
L’analisi delle attività dello Steady State mostra tre funzioni centrali:
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Mantenimento e mobilitazione delle risorse: salvaguardare contatti, know-how e canali di influenza già esistenti.
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Coordinamento orizzontale: collegare segmenti della burocrazia preoccupati dall’agenda politica di Trump.
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Costruzione di un’agenda alternativa: mettere in campo esperti, media e figure legali per bloccare o deviare iniziative dell’amministrazione.
Non si tratta quindi di un cambio di ideologia, ma di un’evoluzione tattica: passare da potere occulto a “garante carismatico” dello Stato.
Un nuovo fronte del conflitto politicoL’iniziativa segna un salto di qualità nella guerra interna alla politica americana: il dissenso non si esprime più solo nei media o nei partiti, ma si struttura dentro l’apparato statale. Professionisti con alti livelli di competenza si muovono come opposizione interna, capaci di sabotare processi decisionali e influenzare la percezione pubblica dietro una maschera di legittimità istituzionale.
Il paradosso della politicizzazioneForeign Affairs sottolinea che, nonostante le dichiarazioni ufficiali sull’intento di depoliticizzare l’intelligence, Trump avrebbe in realtà accentuato la politicizzazione, erodendo l’imparzialità professionale. Un’analisi di Government Executive, ripresa da Vanity Fair, evidenzia il paradosso: nel tentativo di smantellare il “Deep State”, Trump avrebbe creato vuoti di competenza, indebolendo l’efficacia operativa delle agenzie.
La voce dello Steady StateIl gruppo stesso, su Medium (2020), chiariva così la propria posizione:
“President Trump, unfit for the Presidency, presents a clear and present danger to America’s safety and security.”«Il presidente Trump, inadatto alla presidenza, rappresenta un pericolo chiaro e attuale per la sicurezza e l’incolumità dell’America».
E ribadiva la volontà di agire pubblicamente:
“…will write and speak on issues where our experience and expertise can inform Americans…”«…scriveremo e parleremo di questioni nelle quali la nostra esperienza e competenza possono informare gli americani…».
Il fenomeno oggi rappresentato negli USA dal “Steady State” non è un unicum. Nel corso della storia, in contesti differenti e sotto regimi di varia natura, segmenti della burocrazia, dell’apparato militare o dei servizi di sicurezza hanno agito per ostacolare, neutralizzare o reindirizzare la politica di leader formalmente legittimati. Queste operazioni, spesso non dichiarate, si fondano su una legittimazione morale autoattribuita: presentarsi come custodi dello Stato, non come oppositori politici.
Un caso emblematico si verificò negli ultimi anni dell’Unione Sovietica. Mikhail Gorbaciov, deciso ad aprire il sistema con perestrojka e glasnost, si trovò di fronte a un’opposizione interna al KGB e al complesso militare-industriale. Quelle aperture, viste come rischio esistenziale, portarono al colpo di Stato dell’agosto 1991, con il tentativo di isolare Gorbaciov in Crimea: impiego diretto delle strutture di sicurezza per bloccare la linea del vertice.
Nella Spagna post-franchista, durante la transizione democratica, settori delle forze armate cercarono di preservare l’eredità del regime. Il culmine fu il golpe del 23 febbraio 1981 (Tejerazo), quando militari armati irruppero nel Parlamento. Non sabotaggio silenzioso, ma minaccia diretta, facendo leva sulla gerarchia militare per piegare la politica.
Più recente la “resistenza silenziosa” opposta da settori del Pentagono e della CIA alla linea di Barack Obama (2013–2016). Pur con indicazioni di disimpegno dal Medio Oriente, soprattutto in Siria, programmi di sostegno a gruppi armati continuarono. Ex ufficiali intervistati da The Intercept e The Grayzone parlarono di “persistenza” operativa indipendente dalle direttive ufficiali:
“Even when the administration wanted to disengage, parts of the security apparatus kept their own agenda running.”«Anche quando l’amministrazione voleva disimpegnarsi, parti dell’apparato di sicurezza continuarono a portare avanti la propria agenda».
La Turchia repubblicana offre un altro paradigma: tra anni ’60 e Duemila, l’ideologia kemalista — laica e nazionalista — fu difesa da un vero “deep state” composto da esercito e servizi. Ogni governo che se ne discostasse affrontava colpi di Stato (1960, 1971, 1980) o pressioni extra-parlamentari (1997). L’apparato militare si autoproclamava garante dell’identità fondativa, legittimando così il proprio intervento.
Anche la Brexit vide una forma di resistenza. Dopo il referendum del 2016, segmenti dell’alta burocrazia e del servizio diplomatico britannico considerarono l’uscita dall’UE dannosa. Con briefing selettivi alla stampa, rallentamenti procedurali e interpretazioni dilatorie, si tentò di mitigare il processo. Come ammise un funzionario:
“Civil servants saw their role as mitigating the damage, even if it meant bending the instructions.”«I funzionari vedevano il loro ruolo come quello di mitigare i danni, anche a costo di piegare le istruzioni».
Negli Stati Uniti di Nixon, la stampa parlò di “opposition bureaucracy”. Durante il Watergate, insider del Dipartimento di Stato e dell’intelligence — il celebre “Deep Throat” — fecero trapelare informazioni e bloccarono iniziative considerate pericolose: la fuga di notizie come leva tipica in democrazia.
I paralleli italiani Resistenza istituzionale: radici storiche e paralleli italianiIl fenomeno oggi rappresentato negli Stati Uniti dal “Steady State” non è un’invenzione recente né un’esclusiva americana. Nel corso della storia, in contesti diversi e sotto regimi di varia natura, segmenti della burocrazia, dell’apparato militare o dei servizi di sicurezza hanno agito per ostacolare, neutralizzare o reindirizzare la politica di leader formalmente legittimati.Queste operazioni, spesso non dichiarate e condotte dietro le quinte, si fondano sempre su un presupposto comune: la legittimazione morale di chi vi partecipa, che si presenta non come opposizione politica ma come custode dello Stato.
Un caso emblematico si verificò negli ultimi anni dell’Unione Sovietica. Mikhail Gorbaciov, deciso ad aprire il sistema attraverso le riforme della perestrojka e della glasnost, si trovò di fronte a un’opposizione compatta all’interno del KGB e del complesso militare-industriale. Quelle aperture, viste come un pericolo mortale per la sopravvivenza dello Stato sovietico, portarono al colpo di Stato dell’agosto 1991, quando un gruppo di dirigenti tentò di isolare Gorbaciov nella sua dacia in Crimea. In quel frangente, la resistenza non si manifestò attraverso dichiarazioni o campagne pubbliche, ma con l’uso diretto delle strutture di sicurezza e dell’amministrazione statale per bloccare la linea politica del vertice.
Un altro episodio significativo si registrò nella Spagna post-franchista. Dopo la morte di Francisco Franco, il Paese avviò un processo di transizione democratica. Tuttavia, settori delle forze armate e dell’apparato di sicurezza cercarono di preservare l’eredità del regime. Il momento più noto di questa resistenza fu il tentativo di golpe del 23 febbraio 1981, il cosiddetto Tejerazo, quando un gruppo di militari armati irruppe nel Parlamento durante una seduta. Qui la leva non fu il sabotaggio silenzioso, ma la minaccia diretta, sfruttando il peso gerarchico dell’esercito per condizionare la direzione politica.
Più recente è la vicenda della “resistenza silenziosa” opposta da alcuni settori del Pentagono e della CIA alla politica estera di Barack Obama tra il 2013 e il 2016. Pur avendo l’amministrazione espresso chiaramente la volontà di ridurre il coinvolgimento diretto in Medio Oriente, in particolare in Siria, programmi di sostegno a gruppi armati continuarono a operare. Ex ufficiali intervistati da testate come The Intercept e The Grayzone parlarono apertamente di una “persistenza” operativa indipendente dalle direttive ufficiali:
“Even when the administration wanted to disengage, parts of the security apparatus kept their own agenda running.”«Anche quando l’amministrazione voleva disimpegnarsi, parti dell’apparato di sicurezza continuarono a portare avanti la propria agenda».
La Turchia repubblicana offre un altro esempio paradigmatico. Qui, dal 1960 fino ai primi anni Duemila, l’ideologia kemalista — laica e nazionalista — veniva difesa da un vero e proprio “deep state” composto da esercito e servizi segreti. Ogni volta che un governo eletto tentava di allontanarsi da quella linea, scattava un colpo di Stato (1960, 1971, 1980) o una pressione extra-parlamentare, come il “colpo di Stato post-moderno” del 1997. L’apparato militare si autoproclamava garante dell’identità fondativa dello Stato, legittimando le proprie azioni come tutela della nazione.
Anche la Brexit, nel Regno Unito, vide una forma di resistenza istituzionale. Dopo il referendum del 2016, una parte significativa dell’alta burocrazia e del servizio diplomatico riteneva l’uscita dall’UE dannosa per il Paese. Attraverso briefing selettivi alla stampa, rallentamenti procedurali e interpretazioni dilatorie delle istruzioni politiche, questi attori cercarono di condizionare il processo di uscita. Come ammise un funzionario in un’intervista:
“Civil servants saw their role as mitigating the damage, even if it meant bending the instructions.”«I funzionari vedevano il loro ruolo come quello di mitigare i danni, anche a costo di piegare le istruzioni».
Negli Stati Uniti, infine, l’amministrazione Nixon dovette fare i conti con quella che i cronisti del tempo definirono “opposition bureaucracy”. Durante lo scandalo Watergate, funzionari interni al Dipartimento di Stato e all’intelligence — tra cui il celebre “Deep Throat” — passarono informazioni riservate alla stampa e bloccarono iniziative politiche ritenute pericolose. La leva principale fu la fuga di notizie, strumento classico di pressione in contesti democratici.
Se questi esempi internazionali mostrano quanto il fenomeno sia trasversale, l’Italia offre due casi emblematici di resistenza istituzionale. Il primo è l’inchiesta di Mani Pulite (1992–1994), che smantellò il sistema di finanziamento illecito ai partiti — la cosiddetta Tangentopoli — portando al crollo della Prima Repubblica e alla nascita di un nuovo assetto politico. Alcune letture critiche, come quella pubblicata da Il Riformista nel 2022, sostengono:
“Non fu una rivoluzione morale, ma una redistribuzione del potere attraverso l’uso selettivo della giustizia.”«Non fu una rivoluzione morale, ma una redistribuzione del potere tramite l’uso selettivo della giustizia».In quest’ottica, la magistratura inquirente, sostenuta da un forte appoggio mediatico, agì non solo per colpire la corruzione ma anche per ridisegnare gli equilibri politici.
Il secondo caso riguarda la crisi del governo Berlusconi nel 2011, in piena tempesta sul debito sovrano. Con lo spread BTP-Bund oltre i 500 punti, il 12 novembre Berlusconi rassegnò le dimissioni e fu sostituito da un governo tecnico guidato da Mario Monti, nominato senatore a vita pochi giorni prima. Secondo alcuni osservatori, tra cui Maurizio Blondet, non si trattò di una normale crisi parlamentare:
“Non fu una crisi parlamentare, ma un’operazione di regime change finanziario, condotta sotto la bandiera dell’emergenza.”«Non fu una crisi parlamentare, ma un’operazione di cambio di regime finanziario, condotta sotto il vessillo dell’emergenza».Le pressioni provenienti da Bruxelles, dalla BCE e dai mercati avrebbero giocato un ruolo determinante, in coordinamento con la Presidenza della Repubblica.
In tutti questi casi, al di là delle differenze storiche e istituzionali, emergono elementi comuni: l’uso di canali non elettivi — magistratura, burocrazia, intelligence, apparati tecnici — per incidere sulla direzione politica; la capacità di ostruzionismo strutturale, con ritardi, reinterpretazioni o fughe di notizie; e una narrativa di “salvaguardia”, che presenta l’azione come difesa della Costituzione, della stabilità o della linea storica dello Stato.
Il “Steady State” americano si inserisce dunque in una tradizione ben più antica: quella del conflitto permanente tra il potere formale e il potere reale, un duello che cambia linguaggio e strumenti a seconda delle epoche, ma che conserva intatta la sua logica di fondo.
Caso | Attori principali | Strumenti di pressione | Obiettivo dichiarato | Obiettivo implicito |
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Steady State (USA, 2025) | Ex funzionari intelligence e Dip. Stato | Reti mediatiche, lobbying istituzionale | Salvaguardare stabilità istituzionale | Limitare agenda di Trump |
Mani Pulite (Italia, 1992-1994) | Magistratura inquirente, media | Inchieste giudiziarie, fughe di notizie | Ripulire la politica dalla corruzione | Ristrutturare sistema politico |
Crisi Berlusconi-Monti (Italia, 2011) | Presidenza Repubblica, UE, BCE, mercati | Pressione economica, narrativa emergenziale | Rassicurare mercati e partner UE | Cambio di governo e linea politica |
KGB vs Gorbaciov (URSS, 1985-1991) | KGB, complesso militare-industriale | Controllo sicurezza e forze armate | Difendere il sistema sovietico | Bloccare riforme di Gorbaciov |
Estado Mayor (Spagna, 1975-1982) | Settori esercito franchista | Minaccia golpe, pressione gerarchica | Proteggere eredità franchista | Frenare democratizzazione |
Pentagono vs Obama (USA, 2013-2016) | Pentagono, CIA | Continuità operativa, inerzia burocratica | Preservare sicurezza nazionale | Mantenere influenza militare estera |
Deep State Turco (1960-2000) | Esercito, servizi segreti kemalisti | Colpi di stato, intimidazione politica | Mantenere principi kemalisti | Contenere islam politico e avversari |
Opposizione Brexit (UK, 2016-2020) | Alta burocrazia e servizio diplomatico | Rallentamenti procedurali, briefing selettivi | Attuare Brexit in modo ‘controllato’ | Mitigare impatto uscita UE |
Opposition Bureaucracy (USA, 1969-1974) | Dipartimento di Stato, FBI, insider | Fughe di notizie, media leaks | Proteggere integrità istituzionale | Indebolire presidente in carica |
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